E' nato prima l'uomo o la pittura?
- Matilde Gilioli
- 20 feb
- Tempo di lettura: 3 min
La muta voce dell'arte

L'uomo ha iniziato a fare arte quando ha sviluppato la consapevolezza di se stesso e degli altri, quindi prima del linguaggio orale e prima del linguaggio scritto codificato.
L'uomo dell'età paleolitica ha inciso sulle pareti delle grotte bisonti, renne e mammut di grandi dimensioni come rito propiziatorio. Come se, disegnando la realtà come desiderava che fosse, questa potesse venirne condizionata. Questa stessa idea la troviamo nella realizzazione delle Veneri preistoriche, statuette di figure femminili dai seni e dai ventri esasperati, che venivano scolpite come simbolo di prosperità.
Facendo poi un balzo in avanti nell'età neolitica queste rappresentazioni mutano e troviamo segni geometrici e astratti, pochi tratti per descrivere oggetti di uso quotidiano, persone e animali. Come il modo di rappresentare anche il significato muta; lo scopo diviene infatti la documentazione e l'informazione; una sorta di pre-linguaggio.
Questi furono i due periodi storici in cui si delinearono quelli che saranno, fino ad oggi, i due scopi delle rappresentazioni artistiche: l'arte come mezzo di espressione delle più grandi domande esistenziali e l'arte come mezzo di comunicazione.
Durante la storia spesso questa doppia natura si intreccerà su sé stessa in modo così stretto da non riuscirne a vedere il distinguo, atre volte saranno così all'opposto che ci si domanda come possano essere due facce della stessa medaglia.
Ma cosa davvero dà valore ad un'espressione artistica?
L'artista stesso? Pensiamo solo che per quasi tutto l'impero romano, le opere non portavano una firma se non in alcuni casi isolati.
Il materiale con cui viene realizzata? Potrebbe ma con questa base potrebbe essere più un'opera d'arte un dente d'oro che uno scarabocchio di Leonardo da Vinci quando sappiamo non essere così.
Il valore che la società da dell'opera? Anche in questo caso la risposta rimane sospesa; pensiamo solo ai tanti artisti, Van Gogh per citarne uno o Egon Schiele, che non vennero compresi se non dopo anni dalla loro morte.
Non è facile trovare una risposta a questa domanda perché l'arte non ha una definizione completa che racchiuda tutto ciò che è. Nel vocabolario la troviamo definita come Qualsiasi forma di attività dell'uomo come riprova o esaltazione del suo talento inventivo e della sua capacità espressiva. Ma alla luce di quanto raccontato poco fa capiamo essere incompleta e insoddisfacente.
Sicuramente una forma artistica può essere definita come qualcosa che va fuori dall'ordinario, un'attività di estasi come stato di evasione totale dalla realtà ma l'espressione “talento inventivo” non da merito a ciò che davvero si cela dietro ad un artista. Inventivo richiama invenzione quindi dare vita a qualcosa che non esiste ma un artista più che inventare, re-inventa. L'arte, tutta l'arte, non è che ispirazione. È una catena infinita di interpretazione di vissuto, di visto, di desiderato, di amato, di odiato, di sofferto…di tutto ciò che è umano.
In questa dimensione si inserisce perfettamente il mito della figlia de vasaio Butade. Ella, innamorata di un giovane che sarebbe dovuto partire, una notte tratteggia il contorno dell'ombra dell'amato sul muro al lume di una lanterna. Il padre, abile lavoratore della terracotta, realizza così per la figlia quello che la leggenda vuole che sia il primo ritratto della storia. Questo mito ci racconta che l'arte nasce per alleviare un dolore, per riempire un vuoto lasciato dalle circostanze della vita.
La tela stessa rappresenta uno spazio che gli artisti riempiono con il loro linguaggio, quello figurativo composto di simbolismi, colori, luci e ombre, tratti, emozioni e mistero. Tanti artisti vengono ricordati come anime tormentate che vivono la vita rosicchiandola fino all'osso in una continua ricerca della perfezione, ossessionati nel comunicare con la propria arte al mondo ciò che della vita attanaglia la loro mente. Troppo sensibili per usare le parole, taglienti e definite, parlano con tratti e colori.
Naturalmente la domanda del titolo è provocatoria e destinata a rimanere senza risposta come il più antico degli indovinelli da cui deriva ma è spiazzante pensare che sono migliaia di anni che l'uomo usa il disegno per raccontare il mondo e non solo, per raccontare sé stesso e i suoi dolori, per fissare qualcosa di passeggero, per lasciare una traccia. Perché in fondo è questo il desiderio di tutti, non essere dimenticati e realizzare qualcosa che rimanga anche quando noi ce ne saremo già andati.
Le opere d'arte suscitano sentimenti comuni nella loro epoca come in quelle successive per la loro essenza universale, perché sono in grado di riunire tutti attorno alla loro muta voce.
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